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      Di tanti affanni patiti durante il banchetto, si ricattò alfine, quando fu tempo di porre al fuoco la caffettiera; chè messo il naso sopra quell'arnese, l'animo suo si rifaceva sereno. Il fumo della preziosa bevanda, poteva su di lei, come la musica su certi animi iracondi; e per dire a modo qual gusto vi ebbe anco quel giorno, bisognerebbe averla veduta farsi oltre nella sala portando il bricco lucente, in cui specchiandosi la sua e le faccie rubiconde dei convitati, parevano, a misura che essa avanzava, fare una ridda.
      Avevano mangiato gagliardamente, e bevuto da far raccapricciare le viti della pievania; e chiacchieravano de' fatti loro fumando, annuvolando la sala, scoppiando in risa ai motti di qualche compagno che avrà canzonato l'ospite, perchè senza Tersite la compagnia non sarebbe stata intera. Ma quando videro il caffè, uscirono tutti in uno oh! lungo di maraviglia; e mentre donna Placidia deposto il bricco se ne tornava in cucina, compensata d'ogni sua noia; plaudirono don Apollinare che mescendo il caffè, procacciava ad essi, su quei monti, di così fatte delicature. Egli mescè, zuccherò, si prese per sè una chicchera; e rimenandovi dentro col cucchiarino, piantato sulle gambe, la persona un po' curva, il viso sporto:
      «Il caffè - sclamava - il caffè vuol essere bevuto dai signori, stando in piedi e mormorando...! - E levata la tazza ad una sorta di brindisi, cominciò a sorseggiare, movendo quelle sue pupille grigie, per forma che pareva un volpone sotto una cesta.
      L'allegra brigata fu tutta in piedi.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





Tersite Placidia Apollinare