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      I mustacchi dei bevitori coprivano gli orli delle chicchere; e gli occhi scintillanti pei vini tracannati in gran copia, barattavano sguardi ed amiccamenti, per disopra a quelle. I corpi satolli, mandavano il fumo ai cervelli; chi ne diceva una, chi ne sbottava un'altra; e per farla finita, bevute in sul caffè parecchie altre bottiglie, uscirono fuori a prender aria.
      Ad uno, a due, a quattro giù per la scala, uscivano dal presbiterio come fosse da un'osteria. Donna Placidia, di sull'uscio della cucina, contemplava quella strana processione, e al silenzio che regnava nella sua stia, le pareva che i suoi polli cantassero in corpo a quella gente contenta. La quale fu vista a gruppi scendere dal colle, col pievano in mezzo, tronfio, acceso in volto, e, si sarebbe detto, beato d'aver pasciuto quei messeri, che lo menavano a zonzo. Ammirati, salutati, invidiati dalla poveraglia, che andava in giro limosinando alle porte: come furono al piano pigliarono la via più amena, che era quella in sulla riva del torrente; e sempre dell'istesso andare, dissipando il fumo delle pipe e quello dei cervelli, s'allontanavano dal borgo, a seconda dell'acqua.
      Gli è quanto dire che movevano verso quella banda, per dove Giuliano stava arrivando; e in verità non erano discosti gran tratto, che questi capitava di faccia ad essi, ad uno svolto della via, cavalcando di quell'andatura stanca, che la povera bestia dell'oste d'Alba poteva, dopo sì lungo cammino.
      La brigata si cansò sulle prode della via angusta; ed il giovane, che oramai avendo il suo borgo dinanzi, ondeggiava tra il desiderio e la paura di saper alfine la verità su sua madre; passò in mezzo senza salutare, come non avesse veduto le splendide assise.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





Placidia Giuliano Alba