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      E pigliava diletto a cavare e a riporre uno dopo dell'altro, vezzi d'oro, e monili e collane; e poi sete, e trine, e vesti, e pettini, e reticelle, e guanti di ogni colore e di molta spesa. Sovente aprendo una scatola di lavoro sottile, che era da per sè una galanteria, ne cavava certi fiocchi di piume di cigno, e accostandosi allo specchio, s'impolverava peritosa un po' di capelli sulla fronte, e un po' di gota; e rimaneva a guardarsi nella spera, come per vedere se incipriata tutta la testa, sarebbe parsa più bella. Oh! se la mala ventura, che poneva Giuliano a sì dure prove per amore di lei, l'avesse portato a vederla solo una volta, in quelle opere solitarie; che sì ch'egli avrebbe cacciato presto dal cuore l'affetto a quella bellezza! E se le memorie prepotenti le riconducevano alla mente quel giovane scolare del terrazzino, quella donna che tre mesi prima l'aveva baciata in viso: se pensava al dolore in cui forse vivevano per essa; faceva come pel cordoglio della zia, si stringeva nelle spalle e pareva dire: «che colpa ci ho io?» Buon per lei che don Marco non appariva più alle finestre rimpetto; perchè da parecchio tempo si era andato a ricoverare in certa sua casuccia sui monti, dove lo rivedremo; ma se egli fosse stato nel borgo, le avrebbe qualche volta dato ad intendere con un solo sguardo, quanta era la colpa che essa aveva nei dolori, sofferti dalla signora Maddalena e da Giuliano, per cagion sua. Tuttavia, essa non se ne sarebbe doluta molto, assordata come era dalle ciance degli adulatori; i quali sparsasi la voce del matrimonio, erano corsi a congratularsi a lei; e gli ufficiali Alemanni, amici del fidanzato erano stati i primi.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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