Pagina (293/480)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Le signore del borgo, anco quelle che del matrimonio avevano parlato più da maligne, andavano e venivano profferendo a Bianca i loro servigi; l'una per essere stata l'amica di quella buon'anima della signora Costanza; l'altra perchè in fatti di così gran conto s'era sentito ribollire nel sangue la parentela; le più per quello assillaccio della curiosità, in certe donne sì vivo, che tu le trovi dovunque tu vada, a festa, a funerali; ora prefiche, ora pronube; sempre colle labbra mosse in guisa, che tu non sai se siano per dirti una parola d'augurio, una di compassione, oppure una facezia.
      Bianca stava in una stanzetta che le teneva luogo di spogliatoio. Non aveva fatto altro in tutta la mattinata che aprire cofanetti e cassettoni; sturar boccettine d'acque odorose e spruzzarsene; si provava anella e pendenti di grandissimo costo, braccialetti e collane; e già molto prima dell'ora fissata, essa era pronta per andare in chiesa. Fattasi dinanzi ad uno specchio, che il fidanzato aveva fatto portare sin dalla lontana Venezia, stette un tantino a contemplarvisi piena di ammirazione per la grande bellezza che si sentiva in tutta la persona; poi piegando il collo verso le signore che l'avevano aiutata a vestirsi, disse altera come una regina:
      «Ora possiamo andare.
      «Ma lo sposo?» - chiese una di quelle dame.
      «O che modo è questo di farsi aspettare?» - sclamò Bianca, battendo dalla stizza l'ammattonato col piede, che fu visto in quell'atto, chiuso in un scarperotto di raso bianco, stretto fin sopra la noce, da un intreccio di cordelline di seta, le quali si scernevano sulla calza, traforata e di sottilissima fattura.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





Bianca Costanza Venezia Bianca