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      Al primo passo che mosse dentro la chiesa, Bianca rimase tocca da quei suoni e impallidì per modo, che una delle dame a lei più vicine, le chiese se per avventura la veste le stringesse troppo la vita, e se si sentisse male. La giovane sorrise, senza rispondere; ma quando si vide giunta al banco parato di damaschi rossi, dove s'aveva a inginocchiare, le parve d'aver fatto un grandissimo acquisto, perchè si sentiva venir meno. Si pose ginocchioni coll'Alemanno, che le venne allato; appoggiò i gomiti sui cuscini gallonati, raccolse nelle mani la fronte, e stette ad ascoltare quel suono d'organo, che sembrava avesse a dirle qualcosa. Oh! le ne aveva a dir tante, che nè Giuliano, nè la signora Maddalena, nè don Marco, avrebbero potuto di più. Quelle armonie erano un linguaggio noto ed inatteso, che trovava le vie del suo cuore, meglio d'ogni più dolce, o più acerba parola. Pareva che gli angeli del cielo, ai quali nei primi tempi dell'amor suo per Giuliano, aveva parlato colla fantasia tante volte, si librassero tutti sotto le arcate della chiesa, e ognuno le ridicesse ad alta voce, i pensieri mesti o lieti, che essa usava confidar loro che li portassero allo scuolare di don Marco. Cadde a poco a poco, in siffatto accoramento, che se l'Alemanno l'avesse potuta vedere in viso, da quell'uomo leale che egli era, le avrebbe chiesto se fosse pentita. Ma in quella il tintinnio di un campanello annunciò che entrava la messa; e dall'uscio della sagrestia fu visto il sacerdote, parato con gran fasto, andare all'altare con passi gravi, e cogli occhi bassi: maestoso, che pareva portare in mano le sorti dell'universo.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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