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      Di balli a C... dopo la venuta degli Alemanni, se ne erano visti molti; ma niuno si rammentava d'aver ballato con estro, come in quella sera. La mezzanotte era passata da un pezzo; e a quest'ora Giuliano e i quattro giovani, scampati all'ira del padre Anacleto, giunsero alla porta del palazzo, e si misero dentro.
      Giuliano combattuto da desideri e da paura, si fermò peritoso nell'atrio; lasciando che i compagni salissero quelle scale, echeggianti di festoso bisbiglio. E forse pentito, avrebbe dato di volta, per ripigliare la via che aveva a fare; ma sul muricciolo del cortile stavano cavalcioni alcuni giovani popolani: i discorsi dei quali si mescolarono, come già tante altre cose strane, nei fatti suoi. Essi godevano accidiosi quel po' di festa che potevano vedere attraverso i balconi aperti; parevano anime del Limbo tormentate dalla vista d'un lembo di cielo; e alla luce che loro pioveva addosso, parlavano basso, quasi timorosi d'essere colti a godere di cosa non fatta per loro. Ed uno diceva:
      «E vedi la sposa, la sposa! Ci ho badato, e dei balli non ne ha tralasciato neanco uno!
      «Sfido io! - rispondeva un altro: - o che vuoi che si mostri di gamba malata?
      «E chi s'era mai accorto, - entrava a dire un terzo - chi s'era mai accorto che fosse così bella! Quando noi si tornava da far legna, e la si incontrava con la sua zia, mi pareva un digiuno comandato.
      «Hai a dire, che ne' suoi panni d'allora, pareva una santa che parlasse cogli occhi! Così rinfronzita somiglia una di quelle statue che portiamo in processione, tutte trine, nastri, oro e che non dicono nulla.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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