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      A tutte le dimande del colono, Giuliano rispondeva breve come chi ha altro da pensare; ma a quest'ultima il suo cuore si aperse, e quasi provando un gran sollievo a pronunciare il nome di cui Rocco chiedeva, rispose:
      «Oh... quella è la casa d'un giusto... è la casa di Don Marco...!
      «Don Marco! Lo conosco, è un santo che ha fatto tanto bene alla mia Tecla.
      «A Tecla? - disse Giuliano mostrandosi ora voglioso di udire i discorsi di Rocco.
      «Appunto, - rispose questi - una sera di questa state, quasi mi vergogno a dirlo, essa ci era sparita di casa...: uno spavento! si figuri...! e chi la voleva morta, chi rapita dagli Alemanni, chi annegata... ma coll'aiuto di Dio la trovammo laggiù al passo del guai, proprio a piè della croce, sa...?
      «E dove voleva andare?
      «Ma...! quel giorno il pievano era venuto a dire a sua mamma, che ella era stata messa in prigione a Torino.
      «E Tecla che c'entrava...?
      «Ma... voleva venire a Torino a liberare lei: teste piccine di donne...!
      «Narratemi ogni cosa, Rocco; - disse Giuliano pigliando lena - perchè non mi avete mai detto questi fatti...?
      «Ma... » - rispose Rocco; e cominciò la storia di quella notte, che se non era Don Marco poteva costare a Tecla assai più lacrime che essa non aveva versate. Giuliano ascoltava camminando a capo chino, ora tocco nel vivo del cuore dalla pietà; ora sdegnato, come quando udì che Don Apollinare voleva che Tecla fosse stregata. E così pei sentieri più foresti, un tratto in riva alla Bormida, un tratto in mezzo ai campi, cansando le pattuglie Alemanne; s'affrettarono verso il confine.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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