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      In un punto dove quattro mura mozze paiono ruine, e invece sono d'una cappella rimasta costrutta a mezzo, forse perchè fu chiarito che la Madonna, cui si voleva dedicare, e che si diceva comparsa in quel sito, non era stata che qualche villanella vestita da festa; il giovane si fermò, e voltosi a Rocco, parlò in guisa che a costui parve di non aver più a fare col padrone, ma con un figliuolo,
      «Rocco, fa giorno e potete tornare. Dite a mia madre che io sono uscito dalla terra libero, tranquillo, e desideroso di trovar presto quella casetta, nella quale vivremo con essa tutta la vita. Direte a Marta che abbia cura di mia madre; e voi se mi volete bene, andate a Santa G...: riconducete subito la vostra Tecla a casa; meglio che sotto i vostri occhi, non istarà in niun luogo. Ve la raccomando... ma tanto...»
      E data una stretta di mano e alcune monete al pover'uomo, lo piantò sulla via e tirò innanzi.
      Rocco, strologando su quel pensiero che il signorino si pigliava di Tecla, stette a guardarlo sin che gli uscì di vista, poi tornò addietro. Di là ad un'ora ripassava per C..., dove la gente era già fuori per le vie, con quella gaiezza mattutina che i giorni di festa fa belli i villaggi. Le donne scopavano dinanzi alle case; gli uomini s'affacciavano allacciandosi al collo la camicia di bucato, e chiedendosi da finestra a finestra, a qual'ora fosse finito il ballo degli sposi; su certi balconi le madri pettinavano i bimbi per mandarli netti a messa; e su certi altri le fanciulle spiccavano garofani dal vaso, per farne un mazzolino al damo.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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