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      Un casacchino di tela casereccia stretto alla vita, ornato alle ascelle di crespe o sgonfietti; un fazzoletto in capo, rosso o giallo; un grembialetto anch'esso d'uno di questi colori; era tutto il loro vestire. Vezzi non usavano portarne, oltre un par di campanelline agli orecchi; contente delle perle che avevano in bocca, e delle sincere e copiose capigliature. Belle su tutte erano le boscaiuole della riva destra della Bormida, che si vedevano qua e lą guadare il torrente ai varchi pił agevoli, per andare alla sagra. Erano e sono tuttavia il miglior sangue di quei monti; bianche come latte, e ben colorite, spigliate di forme, e in tutto da non parere gente povera e mal pasciuta. Ma le sono mattiniere, e visitando le selve a palmo a palmo, e non per diletto; trovano forse il fiore misterioso di cui si tingono, come nessun pittore saprebbe fare alle donne delle cittą. Degli uomini poi, non accade dire quali fossero le fogge dei loro panni; ma si vuol lodare chi fu primo a smettere quei codini, quei giubboncelli, quelle brache corte: sebbene queste sarebbero da ritornarsi un tratto in onore, tanto che la gioventł badasse a crescere a modo e men molle, per non andare derisa di troppo povere polpe.
      Tanta adunque era quel giorno la folla, che la sagra pareva un giubileo; e sott'essi i pergolati del convento, gią sin dal mattino era una briga di mercanti d'ogni generazione, i quali si davano attorno a porre i loro banchi, bisticciandosi alla buona tra loro. Nel piazzale della chiesa, giocolieri, storiai, vinai, contendevano per un posticino; ed il cerretano che ogni anno soleva venirvi, gią faceva gente strombazzando di su un tavolino, avuto a presto dal frate dentista del convento, il quale si mostrava pronto a fargli servizio per non parere invidioso.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





Bormida