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      Colui che l'aveva chiamata era lo zio, accortosi improvvisamente di non averla più vicina; ma primo a romperle attorno la calca fu Rocco, il quale capitando appunto, aveva riconosciuta la voce del cognato e quella della figliuola.
      «Largo! largo! - gridava egli lavorando di braccia; - cognato, Tecla son qua io! - E si mostrava di subito così indraghito che guai a chi si fosse avvisato di rattenerlo; guai a chi aveva fatto male alla fanciulla; guai a quei due, che non la stringevano più, ma che non si poterono cansare, quando egli per disopra le loro spalle potè porle la sua larga mano sul capo, gridando: «è mia!»
      «O chi ve la vuol mangiare? - sclamò uno dei giovani dalle male voglie, vedendosi guardato da Rocco a squarciasacco.
      «So dir che sì! - rispose Rocco, cui l'istinto paterno ammoniva del vero; ma ravvisando colui per uno dei quattro, che la notte innanzi, fuggendo dalla cella del padre Anacleto, s'erano imbattuti in lui e nel signorino: «lei, - soggiunse - lei, lo so che cosa è buona a fare... ma...! - e si morse la lingua, perchè il giovane era di casato da fargli sudar le tempia. Baciò come si suol dire il bastone; e gli parve un bel che, poter uscire di quel passo colla figliuola.
      La tirava così per mano fuori della folla, pallida che metteva compassione; e il cognato veniva dietro trovando scuse, ed egli a rimproverarlo con aspre parole.
      Bisticciandosi, andavano verso il convento; quando a stornarli nella loro lite, videro la gente sul piazzale della chiesa far largo, e udirono sussurrare; «gli sposi! gli sposi!


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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