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      La luminaria di lassù, riverberata dall'acqua del mare sottoposto, dava all'altura un aspetto meraviglioso; e la cittadinanza vogliosa di piacere ai frati, menava per le vie la festa che Giuliano aveva veduto arrivando.
      Fosse la tristezza dell'animo, le memorie di casa sua, o il suono di cento campane, che facevano parere la città tutta una basilica; egli provò un senso di scontento, e quasi gli dolse d'essere arrivato. E ancora si aggiunse che dall'osteria d'Alba, a quella lì dov'era, ci correva di molto; perchè subito si sentì fra gente che negli atti, nei visi, nei detti, mostrava di non badare che a sè e ai propri negozi; e sino le voci gli rendevano un suono come di monete che fossero contate in fretta. Cenò di mala voglia col mulattiere, che volle alla propria mensa; poi pagatolo largamente, s'andò a coricare.
      All'alba del giorno appresso, egli era già in cammino, uscito dalla città per la via che menava a Nizza; e potè, andando a piedi e a suo agio, confortare la vista in quel teatro di spiagge e d'alture. Là i borghi, a vederli di lontano, pajono navigli posati colle vele sciolte in attesa di vento; o greggi calati dall'Apennino per abbeverarsi, e rimasti sul greppo spauriti dalle troppe acque. Non erano tutti lieti quei borghi; e passandovi, (alla vista che fanno le casette nane dei pescatori, e certi fortini mezzi diroccati) il viaggiatore dà anche adesso un'occhiata a questi, un'altra al mare; donde si direbbe che stiano per scendere dalle loro barche, stuoli di Barbareschi, a far scempio della povera gente.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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