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      .. tu rimarrai al mio posto. La farai da padrona, e accoglierai i forastieri, se qualcuno ne capiterà, mentre io sarò lungi. Ecco, queste sono le chiavi..., tu le conosci tutte. Dormirai nella camera che ti piacerà meglio, e tuo padre e tua madre ti terranno compagnia. Userai d'ogni cosa come fosse tua; ritirerai la roba dai coloni, ne terrai conto sul libro di casa, darai gli ordini per la vendemmia..., impara a diventar massaia, che quanto a noi chi sa quando ritorneremo. Se colà si sta nulla nulla bene, non ci verrà in mente di rivenire quassù, no. Allora scriverò che tu mi mandi quello che mi bisognerà, e potrai venire con tuo padre a portarlo. Vedrai i bei paesi! Là, quando noi si muore dal freddo, dalla noia, chiusi in casa dalla neve, là sempre un sole, sempre un'aria dolce, e il mare... Addio Tecla.» E presa tra le mani la testa della giovinetta, che pareva non aver più senso di nulla, la baciò in fronte, e s'avviò verso il piazzale.
      Marta rispettosa più che non fosse mai stata tutta quel tempo, in cui i suoi riguardi verso Tecla erano cresciuti ogni giorno, le disse: «Avete inteso? il Signore vi vuol proprio bene! Pregate per la padrona e per me. Addio.» - E datole anch'essa un bacio, andò a raggiungere la signora, recando una sporticella, nella quale aveva raccolto cacio paesano, pane, frutta, tanto da potersi rifocillare tra via, come se fuori di casa fosse stato il deserto.
      Tecla sin dalle prime parole della signora s'era sentita uno sbalordimento, e si reggeva al tavolo, perchè le gambe non volevano tenerla ritta.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





Tecla Tecla