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      - aggiunse il frate, sul medesimo tono del signor Fedele.
      «Io, - gli rispose l'Alemanno severo - non credeva mai di trovare in Italia un frate della sua sorta. La prego di lasciarmi in pace.»
      E preso il suocero pel braccio, lo trasse con sè. Questi teneva la testa bassa più che non la tenesse il muletto che si menava dietro a cavezza; e quando osò alzarla(24) un tantino, fu per dare alla sfuggita un'occhiata al frate, quasi per dirgli che per carità se n'andasse. Non gli pareva manco vero di non sentirsi anch'esso scacciato; e gli si accaponì la pelle, quando il genero di su la soglia della chiesa, additandogli Bianca inginocchiata dentro gli disse: «Essa è là, ma in questo momento non prega per me!»
      Non sapendo che rispondere a questo lamento, il signor Fedele si volse a guardare indietro, ma il padre Anacleto non v'era più. Costui aveva capito che proprio l'Alemanno non faceva per celia; e indovinando così alla grossa la cagione del suo cruccio, s'era ingegnato a voltare l'asina, la quale dopo molte strappate, riuscita a porsi cogli orecchi a quella volta dove aveva la coda; discese di castello con molto travaglio; trapassò il borgo a pie' di questo; e infilò la via che non credeva dover rifare così presto, con quel po' di peso sopra la groppa.
      «Ah! l'ingrato scortese! - borbottava il frate fuggendo - se questa è la creanza che t'hanno insegnata dalle tue parti, tu devi essere uno di quei baroni, che in dodici non ne fanno uno dei nostri! Io mi sono stillato il cervello per darti una moglie, mi metto a questi passi col po' di sole che c'è, con questo po' di marrani paesani tuoi che farebbero ingiuria al paradiso; tutto per venirti a vedere.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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