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      Ma passa un'ora, passane un'altra, questi non arrivavano; nè i più animosi affacciatisi all'abbaino dei proprii tetti, videro gente venire giù per la valle, o polverio o altro segno che l'annunziasse. A poco a poco qualche finestra s'aprì, qualche porta stridè sui cardini, qualche domanda fu scambiata da casa a casa; poi alcuni monelli furono visti farsi cenni da via a via, correre, raccogliersi camminando in punta di piedi, e parlar basso tra loro, come temessero di turbare il sonno a qualcuno. Si consigliavano, s'animavano, facevano alle pagliuzze chi dovesse andare fuori le mura, fino ad un certo punto, a scoprir paese: e uno, due, tre partivano, sparivano, tornavano, recando nulla. Allora presero a lagnarsi ad alta voce degli Alemanni partiti, e dei Francesi non venuti; e fatto gruppo intorno al pozzo della piazza, parevano essi i padri del villaggio, deputati a far le accoglienze alla soldatesca nemica.
      Di questo andare il giorno volgeva alla bassa ora; e già nelle case si pensava con più spasimo, al gran tafferuglio che sarebbe stato, se i Francesi fossero capitati di notte: quando tra quei fanciulli del pozzo, qualcuno con viso maravigliato, additò il castello; e tutti si volsero a guardare da quella parte, con tanto d'occhi, silenziosi, gli uni accostandosi agli altri, come i pulcini all'apparire del nibbio.
      Tra i ruderi di lassù, si vedevano uomini strani, sporgere il capo, mostrarsi dal petto in su, arrampicarsi fin sugli alti comignoli, agitando armi e fogli che spiegavano al vento, chiamando coi cenni i monelli.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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