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      E non avevano avuto tempo d'accorgersi che i repubblicani venivano a quella volta, che già gli schioppi dei villani erano stati strappati dalle loro mani e rotti ai pilastrini dei pergolati; le schiene rimbombarono percosse dalle pugna; le bocche cessarono i guai, per le grandi palmate che vi calarono sopra. A urti, a spintoni erano stati chiusi tutti nel chiostro, dove il rumor delle schiopettate che avevano morto Mattia e i due compagni; loro era parso il segno della fine imminente.
      Giuliano guardò quella folla dolorosa, e (non per profanare una credenza) gli pareva d'essere giunto al Limbo, tanti furono gli occhi che si volsero a lui pieni di speranza, forse per qualche segno di somma dolcezza e di mestizia che aveva nel viso. A un certo moto che egli vide farsi in un punto fra quei miseri, ne scoprì due che si stringevano e si turavano nei panni, quasi per nascondersi a lui. Erano il padre Anacleto ed il signor Fedele, i quali avrebbero dato la loro parte di paradiso, pur di non vedere là in mezzo quel giovine, terribile a loro più d'ogni francese. L'aveva pur detto il pievano di D...! Colui veniva a pigliarsi una vendetta, che niuno, salvo uno scellerato par suo, avrebbe saputo pensare! Così sussurrava il signor Fedele al frate; il quale osando allora fissare un tantino Giuliano, credette di vederlo fare il viso d'un beccaio, che affilando i suoi coltellacci, cercasse nel branco un par di pecore, da scannare le prime. Tremavano come foglie di pioppo; fiato non ne avrebbero avuto tanto da levarsi un bruscolo dalle labbra; e il cuore faceva loro tali schianti nel petto, che sarebbe stata crudeltà non ucciderli d'un tratto, o non mandarli liberi a dirittura.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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