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      Un senso, che non seppe mai dire di poi se fosse più di pietà o di spregio, si dipinse sul viso a Giuliano; perchè occhi più umiliati non s'erano mai chinati dinanzi a lui. Se gli archi del chiostro, squallidi come oggi sono, serbassero alcun segno delle occhiate di chi in quella notte credè vederli l'ultima volta, certo sarebbe dei quattro occhi del frate e del signor Fedele. Il giovane si rivolse all'uffiziale francese che stava anch'egli in mezzo alla folla, e gli disse: «Capitano, se me li date, questi due gli acconcio io.»
      «Ah! ah! - rispose il Francese - avete le vostre vendette da fare? Già siamo nei vostri paesi! Accomodatevi; due più, due meno non fanno caso.»
      Giuliano, in mezzo a un gran bisbiglio, prese quei due, li trasse fuori, attraversò la cucina saccheggiata; e uscendo per la postierla di questa, si mise con essi sulla via che menava alla palazzina del signor Fedele. Camminavano muti, essi dinanzi, egli di dietro; e i disgraziati credevano ad ogni passo di sentirsi dar nelle spalle qualche arma, veduta con certo occhio che loro pareva d'aver nella nuca. A un tratto Giuliano si fermò e disse:
      «Chi sa dirmi che cosa fosse venuto a far qui quel Mattia che fu fucilato?
      «Era venuto per me..., - cominciò il signor Fedele.
      «Anzi per me; - interruppe il padre Anacleto - mi portò una lettera...
      «Una lettera che parlava di me - » protestò il signor Fedele, subito mordendosi la lingua per l'imprudenza che stava per commettere.
      «E per avventura, disse nulla di mia madre...? - incalzò Giuliano, troncando quella brutta gara.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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