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      Vedendo i due passar frettolosi, e don Marco ingegnarsi per istare a paro con Giuliano, diedero loro di matti; perchè a mettersi giù di quella via con quel po' di soldati innanzi, non vi si poteva rischiare se non chi cercasse pan migliore che di frumento. Ma don Marco non udì, nè Giuliano era il caso di badare a quei bisbigli, per la gran furia d'arrivare i Francesi. Dei quali discosti dal borgo un trar di schioppo, cominciarono a trovarne alcuni riversi nei fossati; o intenti a rialacciarsi le uose e le scarpe; o che pur reggendosi assai bene, facevano le viste d'essere spedati, e d'avere addosso qualche malanno. «Avanti cittadini - gridavano costoro, baldanzosi - diamo addosso al nemico, avanti animo!» - «Non dia retta, maestro: - diceva Giuliano a don Marco, che già era lì per rispondere a quei soldati: - costoro sono poltroni, primi sempre ad annunciare le sconfitte, ultimi a sapere le vittorie: non combattono mai, e frugano i morti.»
      Don Marco non fiatò più; e così tirarono oltre silenziosi sino a quella cappelletta, dove il signor Fedele e il padre Anacleto, s'erano incontrati colla signora Maddalena il giorno innanzi; non sognando che l'indomani fosse per passarvi tanta briga d'armati. Là trovarono la gola, per cui varcava la via, assiepata di grossa compagnia di Francesi, i quali davano loro le spalle; e viste biancheggiar nella nebbia, le bandoliere delle daghe e delle patrone, che si incrociavano sulle loro schiene, ponevano in cuore un po' di sgomento. Don Marco e Giuliano si arrestarono a pochi passi da quella schiera, piantata là in silenzio solenne: e spinsero lo sguardo, se nulla si potesse scoprire più oltre.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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