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      «Eccolo - pensava - egli è laggiù.... e si direbbe che non aspetti altro che il segno, per correre a farsi uccidere, come se io non fossi più viva.... Io...! ma che gli importa di me? Non m'ha più cercata da ieri...! La gloria.... la gloria egli vuole; e che io triboli pure!.... Ahimè!... padre Anacleto, dove m'ha condotta! E se quell'altro fosse davvero nel campo di là...? se s'incontrassero? Oh venisse notte; benedetto sole va sotto, va sotto...! ave Maria...!»
      A un tratto, e mentre appunto cadeva il sole, essa vide partirsi di lontano, e come turbine venir cacciandosi innanzi la polvere, una squadra di cavalieri Francesi; e quelli condotti da suo marito, calar le lance, curvarsi sul collo ai cavalli, spiccarsi ad incontrarla; e urtarsi, confondersi, fare un viluppo, su cui si levò un polverìo denso e diffuso. Allora parve alla povera Bianca d'essere afferrata pei capelli, levata in alto, e precipitata di lassù; le mancò il cuore, diede un grido, cadde riversa sul pavimento; e forse colla fantasia delirante, continuò a vedere quello che avvenne nella zuffa tremenda.
      Al primo urtarsi delle due cavallerie, era stato un tempestar di spade; un rombar di lance rotate in molinelli abbaglianti; un mescolarsi di valentuomini che mai il più fiero. E ognuno dei cavalieri faceva per sè molto bene la bisogna di menare e parare colpi terribili; ma tutti avevano visto alla sfuggita, i due comandanti azzuffarsi tra loro, calar fendenti non più veduti, dacchè le armadure della vecchia cavalleria erano state smesse; e vibrare di punta, proprio colla voluttà feroce, ognuno di sparar l'avversario, e passarlo fuor fuori, spingendogli fino all'elsa nel petto.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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