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      In un momento fu notte, e nella terricciuola di R.... sott'essi i porticati, dove i coloni sogliono tenere i loro arnesi, nelle stalle, nella chiesa, per tutto: cessato il fragore della battaglia, i guai, il pianto, le voci dolorose dei feriti, volte nel delirio alle patrie, alle persone care e lontane; empievano a quell'ora l'aria di malinconia. Don Marco e Giuliano nell'adoperarsi intorno a quella miseria, s'erano scompagnati sin dal mattino: e verso la mezzanotte, insanguinato e stanco, Giuliano finiva di fasciare un ultimo ferito, proprio alle più avanzate guardie, là dove le due cavallerie s'erano azzuffate. Il suolo era ingombro di morti; e forse i suoi piedi calpestarono le zolle, che avevano bevuto il sangue dello sposo di Bianca; forse tra i cadaveri inciampò in quello ch'era stato il suo rivale felice. Ma egli non vi pose mente, perchè l'anima gli si era raccolta tutta negli occhi. Il borgo di D.... si vedeva lì rimpetto; veniva da quello un rumore sordo di carra; forse erano le artiglierie che facevano rimbombare gli archi del ponte, passandovi sopra; forse l'esercito Alemanno che si moveva. Le scolte francesi stavano tutte orecchi; un gruppo d'ufficiali avvolti nei mantelli e raccolti su d'un poggiuolo, parlavano basso tra loro; alcuni cavalieri andando e tornando cauti, e traditi soltanto da qualche nitrito, esploravano la campagna tra le scolte francesi e il borgo.
      All'idea che in sull'alba sarebbe ricominciata la zuffa, Giuliano si sentì al cuore uno schianto. Si pose colla fantasia vicino a sua madre; e si vergognò d'aver tanto aspettato, che altri gli aprisse le porte di casa sua.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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