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      Risoluto si mise in un ruscello coperto di grossi cespugli: camminò cauto in guisa, che potè cavarsi dalla corona di sentinelle francesi; e dopo molto stentare, giunse a guadagnar l'argine della gora, che sappiamo come lungh'esso il piè d'una roccia quasi tagliata a filo, corresse ad un molino, così poco discosto dal suo piazzale, che talora la spruzzaglia cacciata in aria dalle ruote andava a innaffiarlo. Là poteva essere per lui il malpasso, però che gli Alemanni gli stessero sopra poche braccia, sul ciglio di quella roccia; e ne udiva il gran darsi attorno, il bisbigliare concitato, e le parole imperiose. Ma la casa materna non era più che a quaranta passi, e nelle tenebre pareva pigliar forme vive e fargli cenni per incuorarlo. Tirò innanzi colla buona ventura quegli altri passi rischiosi; ma quando si sentì sotto i piedi il suolo del suo piazzale, e provò quel che forse prova un naufrago uscito nuotando alla riva; il cuore gli batteva sì forte; che gli bisognò fermarsi a ricogliere il fiato. E fu per lui gran ventura, perchè se tirava innanzi, s'andava a porre da sè in mano di quegli Alemanni, che un mese prima, l'avevano(27) fatto cercare, come un malfattore. Due, quattro, dieci, ne vide una processione venir fuori dall'atrio, trascinando le sciabole; e a badare come camminavano, come parlavano concitati, di certo frullava loro in capo qualcosa di grosso. Al raggio di lume, che dalla porta della sala, li coglieva nelle schiene, man mano che scantonavano dall'atrio in sul piazzale, Giuliano li conobbe per uffiziali; e lesto si rannicchiò all'ombra del muricciuolo, dove stette finchè furono tutti passati.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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