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      Marta stretta da Giuliano contro l'inginocchiatoio, stava là sbigottita; Tecla, all'apparire di lui fattasi come una morta di tre dì, s'era ritratta sino alla tenda dell'alcova, e mezza avvolta in quella, pareva una statua posta ivi per divozione.
      Peritandosi a volgere la parola a Giuliano, quasi temesse di rompere una visione; la signora guardava Tecla e diceva:
      «Proprio come te nevvero? Tu pure, oggi hai tenuto qui il tuo capo, sotto la mia mano.... qui.... ma questo... oh! questo è il suo! Giuliano, Giuliano, se tu stavi un'altr'ora(28), io non poteva più aspettarti!»
      Il giovane le copriva di baci la mano; e al lume che di sull'inginocchiatoio le rischiarava di traverso la faccia, la fissò avidamente. Essa mezzo seduta ed appoggiata ad un mucchio di guanciali, gli sorrideva. Le guance smunte, le labbra aride, gli occhi scintillanti, il collo oramai ridotto da non parere più che un viluppo di nervi; non fecero sospettare a lui, quello che a segni men chiari avrebbe indovinato in ogni altra persona: e Marta e Tecla, che stavano lì come a un mortorio, gli parevano due disamorate che volessero fargli paura.
      Certo la signora Maddalena si avvide del pensiero del figlio; perchè dolcemente gli disse:
      «Me ne voleva andare davvero, sai. Tu sapessi che orribili cose abbiamo sentite oggi! I soldati vennero sin quassù.... Tu non v'eri.... ma ora, ora non voglio più morire. O Marta, datemi la mia veste.... voglio levarmi.... voglio partire.... Giuliano andiamo.... la casetta è quella laggiù? Come è bella!


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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