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      Quelle foreste verdeggiavano, prosperavano da secoli, godevano forse; ma che lutto se pei loro folti non si fossero intesi i colpi delle scuri, i canti dei boscaiuoli, i tintinaboli delle mandre alla pastura! Giuliano ascoltava, contemplava sentiva il pregio infinito del poter vivere per onorare in sè stesso la madre morta; e nel cuore gli veniva la calma che i dolori dello spirito danno al sapiente.
      CAPITOLO XXII.
      Marta, da noi lasciata sbalordita nell'atrio, non ebbe bisogno di farsi dire chi fosse la giovine donna, gittatasi ai piedi del signorino. Essa l'indovinò alle parole di lei, all'atto di Giuliano; e lanciatasi nel piazzale coi pugni stretti, le si sfogò contro con voglia crudele.
      «Coraccio di tigre! E ancora osa di venire a piangere qui? Dio, Dio di misericordia, sviatemi la mente da queste tristizie; ma non so chi mi tenga ch'io non la sbrani! Vada, vada a piangere altrove, che qui per lei non v'è posto..! vada, che del male che ci ha fatto, le ne chiederà conto Dio al suo tribunale!»
      E così dicendo, dava sdegnosa le spalle alla giovane e a donna Placidia, trasecolata a quello scoppio d'ira della fantesca. Bianca presa dall'affanno, teneva gli occhi nella vecchia, che volgendosi bieca a guardarla ancora, tornava in casa. L'infelice si pregava di potersi umiliare tanto, che il disprezzo di quella donnicciola, le cadesse sul capo come dall'altezza d'un trono. Ma in quella usciva dall'atrio don Marco, dicendo a Marta: «Non così.. Marta... un po' di carità... la signora Maddalena non avrebbe detto tante brutte parole!


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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