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      Così, intanto gli Italiani dello Stato Pontificio e delle Due Sicilie, avrebbero sentito e desiderato la prosperità dello Stato settentrionale anche per sé; e forse, prima che passasse un decennio, si sarebbero mossi spontaneamente per unirsi a goderla. Egli aveva allora appena cinquant'anni, e poteva ripromettersi di vivere ancora tanto da guidare quel movimento.
      Senonchè Mazzini sin dal 2 marzo aveva scritto: "Non si tratta più di repubblica o di monarchia, si tratta di unità nazionale; d'essere o non essere. Se l'Italia vuole essere monarchica sotto la Casa di Savoia, sia pure: se dopo la riscossa vuol acclamare liberatori e non so che altro il Re e Cavour, sia pure. Ciò che ora vogliamo è che l'Italia si faccia." Il gesto era preciso, diritto; Sicilia, Napoli, Roma tutto doveva venire nell'unità nazionale: per Mazzini, pel suo partito, che era anche fatto di uomini di guerra, l'ora era buona; o coglierla, quali che si fossero i pericoli, o non vederla tornar mai più. Egli fin dal 1856 aveva rivolta la sua azione al Mezzodì per far procedere di laggiù in su la propaganda rivoluzionaria: nel '57, per tentarvi una rivoluzione, d'intesa con lui era andato a morir colà Pisacane: nel '59, temendo che la pace di Villafranca e le sue conseguenze portassero a far guarentire dall'Europa l'intangibilità delle Due Sicilie, egli Mazzini, aveva mandato Crispi in Sicilia a promuovervi agitazioni e a prepararvi l'insurrezione. Ora dunque bisognava gettare il dado, e cominciare appunto dalla Sicilia.


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Storia dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 190

   





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