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      Ma si sentiva che bisognava far presto, perché il Governo borbonico aveva compreso che la Sicilia non mirava più, come nel '20 e nel '48 a separarsi da Napoli o a rifarsi regno da sé; ma che il suo moto era di tendenze unitarie, con mira all'Italia superiore. Perciò quel Governo prometteva largamente strade ferrate, portifranchi, casse di sconto, prestiti alle grandi città; mentre si ingegnava di reprimere la insurrezione nell'interno, mandando colonne mobili a disarmare la gente. Se Francesco II avesse dato una costituzione quale l'isola la voleva del '48, chi poteva dire che la Sicilia non si sarebbe acconciata? Bisognava proprio far presto.
     
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      Non si vuol mica dire che nel settentrione i liberali bruciassero tutti dal desiderio di vedere andar gente ad aiutar la Sicilia e Napoli a liberarsi dai Borboni, a unirsi al resto d'Italia. V'erano allora i ragionatori che trovavano gli argomenti forti in contrario. Ma come mai si voleva fare un solo stato di quest'Italia così lunga e sottile, senza un centro, e nel napoletano senza strade né nulla? Eh già, rispondevano altri, ragionatori anch'essi, queste cose le diceva pure Napoleone I. Diceva che se tutta la parte d'Italia dal Monte Velino in giù e con essa la Sicilia fosse stata gettata dalla natura tra la Sardegna e la Corsica la Toscana e Genova, la Penisola avrebbe avuto un centro quasi egualmente distante da tutti i punti della sua circonferenza: ma così come era fatta, quella parte dal Velino che formava il Regno di Napoli, gli pareva di clima, d'interessi, di bisogni, diversi da quelli di tutta la valle del Po e di quella dell'Arno.


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Storia dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 190

   





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