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      Si fantasticavano cose orrende. Eppure l'aria del tempo, la fede in Garibaldi e una certa voluttà di andare a patire per una grande idea, faceva vincere anche quelle tetre preoccupazioni.
      E appunto, qual era allora lo spirito dell'esercito del Borbone? A sentir gli esuli siciliani e napoletani, in quell'esercito v'erano dei generali, dei colonnelli, persin dei vecchi capitani, che sapevano bene quanta era stata la gloria dei loro padri. Da fanciulli li avevano visti tornare dalle guerre napoleoniche di Spagna e di Russia, dopo aver empito il mondo delle loro geste e dei loro nomi. Nel 1815 li avevano visti sotto re Gioachino tentar l'impresa di cacciar l'Austria dalla Lombardia. Nel 1848 avevano marciato essi stessi alla guerra quasi fino al Po; erano tornati indietro afflitti, quando il loro Re spergiuro li aveva richiamati; e quelli che non avevano ubbidito ed erano andati a Venezia, vi si erano fatti ammirare. Pepe, Ulloa, Rossarol! Appresso, a sentir le risorte glorie dei Piemontesi in Crimea e poi quelle recenti del 1859, dovevano aver patito di non essere stati mandati a quella bella guerra, fatta per cacciare lo straniero. E così forse era entrato nell'animo dell'esercito lo scontento. Ma in quel momento non si sapeva se amassero o odiassero. Forse contro i piemontesi avrebbero combattuto fieramente, se ne fossero scesi nel Regno a guerra di Re: ma contro Garibaldi avrebbero combattuto solo per disciplina. Dovevano anche trovarsi nelle file molti ai quali quel nome incuteva sgomento.


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Storia dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 190

   





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