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      Erano i comandanti del forte e del porto. Scambiarono dei saluti col Piemonte, vi montarono su, vi si trattennero un poco con Garibaldi, poi tornarono nella loro barca; e poco appresso i due vapori gettavano l'ancora in quel porto. Ivi, alla lesta, Garibaldi discese a terra col suo stato maggiore, vestito da generale dell'esercito piemontese, come l'anno avanti in Lombardia, e come se fosse in terra sua fece sbarcare i Mille.
      Il villaggio fu invaso. Quei poveri abitanti, marinai, pescatori, carbonai della Maremma, si trovarono con le case messe sossopra da quella gente che pagava, ma voleva mangiare. Forse pensavano che anticamente così s'erano visti invasi i loro padri dai corsari; ma saputo chi erano quei forestieri e l'uomo che li conduceva, si sbrigavano con gioia per contentarli. Garibaldi undici anni avanti era passato per la Maremma, e vi aveva lasciato la sua leggenda.
      Intanto, tra quei volontari, i più vaghi delle cose belle contemplavano il paesaggio. A guardare il mare vedevano l'Elba, la Pianosa, Montecristo, il Giglio, quasi in vasto semicerchio come a una gran danza: a guardar verso terra, vedevano il monte Amiata, e i più colti indovinavano in quelle lontananze Santafiora e Sovana, nomi pieni di storia. Tra l'Amiata e il mare, faceva tristezza un lembo della Maremma infelice.
      Là doveva essere Orbetello, fortezza dell'antico Stato dei Presidii fondato da Carlo V, quando spenta la repubblica di Siena e dato il suo territorio a Cosimo de' Medici, volle tenere per sé quel lembo di dominio, diffidando certo del popolo senese e più del fiorentino che aveva fatto la meravigliosa difesa nel 1530 contro le sue milizie.


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Storia dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 190

   





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