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      Vi sbarcherò. Là mi impiccherete al primo albero che troveremo, ma in Sicilia, ve lo giuro, vi sbarcheremo.
      Veramente esagerava, perché l'atto di colui che lo aveva offeso era affatto individuale, e non meritava quel suo fiero discorso. Però quand'egli ebbe finito e voltò le spalle, forse per non farsi vedere commosso, tutte le braccia erano alzate a lui, tra grida di lode. Ma da quel suo discorso parve a tutti di aver indovinato che il disegno di Garibaldi era proprio di tentar lo sbarco, egli e Bixio, ognuno da sé. Difatti il Piemonte era già quasi fuori della lor vista, sicché prima che fosse notte fatta, non ne scorgevano neppur più il fumo. E passò sul Lombardo un soffio di gran malinconia. Erano congetture. Di certo vi era che cominciava la notte dei pericoli veri. Ormai la marineria napoletana doveva sapere da un pezzo che la spedizione era in mare, e che si era forse già tesa tutta davanti all'isola ad aspettarla. Garibaldi andava ad esplorare.
      Egli, prudentissimo e in guerra sempre geloso del proprio segreto, soltanto dopo salpato da Santo Stefano, poiché allora nessuno avrebbe più potuto propalar nulla, aveva detto al suo aiutante Turr di chiamargli Crispi, Castiglia e Orsini siciliani, per determinare il punto di sbarco. E in quella conferenza, abbandonato il suo primo pensiero di scendere a Castellamare del Golfo, aveva deliberato di tentarlo a Porto Palo, sulla costa tra Sciacca e Mazzara, dove è fama che il 16 giugno dell'827 siano sbarcati i primi Saraceni che invasero l'isola, chiamati e guidati da Eufemio di Messina.


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Storia dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 190

   





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