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      Genovese" rispose il giovane quasi tremando. E allora il Generale in dialetto genovese. "E avete ancora la madre?" "Generale sì;" e gli occhi del giovane videro allora molto lontano. "Cosa direbbe - continuò Garibaldi - se fosse qui a vedere che mi piglio le vostre fragole?" Ma intanto tese la mano e ne levò due o tre per gradire, soggiungendo: "Andate, andate, godetevele voi, che vi parranno più buone che a me."
      Dopo non lungo riposo, le Compagnie si rimisero in marcia, allontanandosi quasi con gioia da quel luogo di sangue. Alcuni Partinicotti le seguirono armati di doppiette e di pugnali. Ve n'era uno che pareva di bronzo, tutto vestito di velluto biancastro, con a cintola due pistole. Il Sampieri dell'artiglieria diceva che erano dell'aria di colui i Palicari e i Clefti dei quali egli, nell'esilio suo in Grecia, ne aveva conosciuti alcuni, vecchi ancora di quei di Bozzaris. Si sarebbe detto che quell'uomo non fosse fatto che ad uccidere, e invece a parlargli era buono e anche grazioso. Raccontava quasi scusandosi l'eccidio cui aveva partecipato; e diceva con poesia di Palermo, bella, grande: "Vedrete, vedrete! Il palazzo reale!" E forse tutto il suo patriottismo era per l'isola sua, pel regno, pel piccolo regno di Sicilia, indipendente da tutto il mondo. Seguì la marcia di Garibaldi senza più staccarsi, divenne amico di qualcuno in tutte le Compagnie, portava la letizia in tutti i crocchi e le buone promesse. Nove giorni di poi, il mattino del 27, nell'assalto di Palermo, fu visto l'ultima volta, sotto il Ponte dell'Ammiraglio, disteso morto presso un Cacciatore borbonico, che moribondo egli stesso lo guardava.


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Storia dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 190

   





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