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      Ivi smontò, e nell'atrio del palazzo che dà il nome alla piazza, si assise. Proprio si assise! Ora la sua tranquillità faceva quasi paura.
      Giungevano intanto i suoi da tutte le parti con notizie diverse, confuse, assurde: giungeva Bixio a piedi con in pugno la spada spezzata a mezzo, furibondo, terribile. Veniva a pigliarsi venti uomini di buona volontà, per andare a farsi uccidere con loro a Palazzo reale. "Tanto, - gridava - tra due ore siamo tutti morti!" E già si avviava, già voltava l'angolo di via Toledo, quando Garibaldi lo fece chiamar indietro.
      Garibaldi in quel momento era quasi giulivo. Aveva riso d'un colpo che sfuggitogli da una delle sue pistole, gli aveva sforacchiato il lembo dei calzoni sopra il malleolo, dove fu poi ferito due anni appresso in Aspromonte: aveva confortato due giovani prigionieri napolitani; aveva baciato nel nome di Benedetto Cairoli qualcuno della 7° Compagnia, e baciandolo gli aveva detto che intendeva di baciare in lui tutti i presenti. Giulivo era anche perché cominciavano a comparire dei cittadini ansanti, trasecolati. Dunque era vero, era entrato, era Lui? E guardavano quei capelli ancora così biondi, quella barba, quel torso erculeo nella camicia rossa, quelle gambe un po' esili e quei piccoli piedi da gentiluomo. Adoravano. Era lui e non avevano creduto! Il romore della fucileria di Porta Termini, l'avevano preso per uno dei tranelli della polizia, che già parecchie volte aveva sull'alba fatto sparare qua e là; e sempre chi era stato pronto a scendere, credendo di gettarsi nella rivoluzione, era invece caduto in mano dei birri.


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Storia dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 190

   





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