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      I borbonici avevano lasciato passare il momento buono ad invadere la città, come avrebbero potuto. Quattro o cinque ufficiali audaci che si fossero mossi ciascuno alla testa d'un mezzo battaglione, e avessero marciato verso il centro tutti a un tempo, pur seminando di morti e di feriti la via, bastavano a schiacciar tutti. Ma forse nessuno aveva osato cimentarvisi, per paura di entrare a farsi seppellire sotto un po' di tutto, da tutte le case, mobili, pietre, olio ardente. Adesso, dopo quattro ore dall'entrata di Garibaldi, sarebbe già stato difficile riuscire, anche se i borbonici ci si fossero provati; e già si vedeva che prima di sera sarebbe divenuto addirittura impossibile. Poiché nelle vie sorgevano come per incanto barricate per tutto. Dagli usci venivano fuori carri, carrozze, botti; dalle finestre piovevano mobili, materasse, fin pianoforti. E tutto era subito raccolto, ammontato, serrato insieme. Poi a forza di picconi e di leve si spiantavano li lastre delle vie; e queste sì, queste servivano bene! Parevano fatte apposta. E con esse, visto o non visto, venivano alzate su delle vere mura, una barricata a dieci metri dall'altra; fin troppe, come disse poi Garibaldi. Vi lavoravano e uomini e donne e fanciulli, che si rissavano tra loro facendo a chi ubbidisse meglio, se dai panni, dai capelli, dall'accento, riconoscevano un garibaldino in chi comandava. Le popolane poi parevano furie. "Signuri, nui riciano ca di li nostri trizzi un'avianu a fari ghiumazzo pi li so mugghieri!


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Storia dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 190

   





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