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      Ma, nonostante ciò, essa sopportava meno bene delle sorelle la povertà: poiché amava il lusso, aveva veduto i tempi in cui la casa era un paradiso, la vita facile ed agiata ed il bisogno sconosciuto e quindi il suo più gran dolore era che la famiglia fosse ridotta allo strettissimo necessario.
      Cercava di non invidiare gli altri, di non esser scontenta, ma era naturalissimo che la giovanetta desiderasse le belle cose che ora non poteva avere, l’allegra compagnia e le agiatezze di ogni genere, che vedeva godere dagli altri. Dai King poi, dove era impiegata, era un vero supplizio, poiché le due sorelle maggiori erano già state presentate in società e Meg vedeva ogni tanto magnifici abiti da ballo, mazzi di fiori, udiva parlare di teatri, di concerti, di gite, di divertimenti d’ogni specie e vedeva sprecare, in cose di nessuna importanza, quel denaro che a lei avrebbe fatto tanto comodo. La poverina si rammaricava di rado, ma qualche volta un amaro senso di ingiustizia la rendeva fredda e sostenuta con tutti: non aveva ancora imparato a conoscere quanto fosse ricca di quelle cose che, veramente, possono rendere la vita felice.
      Jo aveva colpito per caso la fantasia della zia March, una vecchietta zoppa, che aveva bisogno di una persona attiva che le stesse d’intorno. La povera donna, senza figli, aveva offerto ai March, allorché erano venuti i guai, di adottare una delle ragazze, ed era stata molto offesa che la sua proposta fosse stata rifiutata. Alcuni amici dissero ai March che avevano fatto male perché, rifiutando, avevano perduto ogni occasione di ereditare dalla vecchia, ma essi avevano risposto: — Non vogliamo cedere una delle nostre figliuole, foss’anche per tutti i tesori della terra: capiti quel che può, vogliamo restar uniti e renderci la vita ameno dura coll’affetto reciproco.


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Piccole donne
di Louisa May Alcott
pagine 280

   





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