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      — e doveva lasciare il suo Eden per andare ad aggomitolare del cotone, a lavare il cagnolino od a legger ad alta voce, per delle ore di seguito, qualche libro noiosissimo, che la faceva sonnecchiare.
      Jo ambiva di far qualcosa di splendido: che cosa sarebbe stato poi questo «qualcosa» non lo sapeva ancora neppur lei ed aspettava che il tempo glielo suggerisse; ma intanto la sua più grande afflizione era di non poter leggere, correre e montare a cavallo quanto avrebbe voluto.
      Il suo carattere furioso, la sua lingua mordace ed il suo spirito irrequieto le procuravano sempre dei guai e la vita era una serie continua di alti e di bassi, che erano insieme e comici e patetici. Ma le continue seccature a cui l’assoggettava la zia March le facevano del bene ed il pensiero che il guadagno aiutava in parte a sostenere la famiglia la rendeva felice, malgrado il continuo ritornello: — Giuseppina, Giuseppina!
      Beth era troppo timida per andare a scuola; l’avevano mandata una volta per prova, ma la povera piccina aveva sofferto tanto che dovettero dimettere l’idea e suo padre aveva finito col darle lezione da sé. Anche quando il signor March era partito e la madre era troppo occupata nella società militare di soccorso per poterle dar lezioni, aveva continuato da sé stessa, cercando di far il meglio possibile. Era una piccola massaia, aiutava Anna nelle faccende domestiche, cercando di rendere comoda ed ordinata la casa per la mamma e le sorelle e non aspettandosi altra ricompensa che quella d’essere amata.


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Piccole donne
di Louisa May Alcott
pagine 280

   





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