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      Una tale vita le andava proprio a genio e presto cominciò ad imitare le maniere e la conversazione di quelle che l’attorniavano: cominciò a servirsi delle frasi eleganti, ed arricciarsi i capelli, a stringersi la vita ed a parlare di mode e di vestiario come le altre. Una grave spina erano per lei gli ornamenti ricercati e gli abiti splendidi di Anna Moffat e molte volte pensava con rammarico e con un’ombra di disprezzo alla vecchia casa e al suo lavoro, che le sembrava ora più duro che mai. Questi pensieri la spinsero a considerarsi molto infelice e sfortunata, nonostante i suoi guanti nuovi e le calze di seta. Fortunatamente non aveva però molto tempo per rammaricarsi sulla sua misera sorte, perché le tre ragazze facevano di tutto per passare allegramente le loro giornate. Andavano nelle botteghe, a passeggio, a cavallo e facevano visite tutto il giorno e passavano le serate o al teatro o all’opera o in casa in compagnia delle numerose amiche di Anna, che conosceva l’arte di farle divertire. Le sorelle maggiori erano ragazze bellissime, ed una di esse era fidanzata, cosa che pareva assai importante secondo la testolina romantica di Meg. Il signor Moffat era un uomo sulla cinquantina, un buontempone grosso e grasso sempre di buon umore, che aveva conosciuto il signor March: la signora Moffat, anch’essa grossa e grassa, aveva preso, come le figlie, una vera passione per Meg. Tutti la carezzavano e le volevano bene e «Margheritina», come la chiamavano, correva il pericolo di essere assai guastata.


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Piccole donne
di Louisa May Alcott
pagine 280

   





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