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      Ne attribuisco in parte la cagione alla naturale ferocia dell'uomo; al bollore del sangue che nei pericoli si accresce ed accieca; alla vanagloria ed emulazione, per cui nessun uomo vuol parere minore di un altro; ai pregiudizj succhiati col latte; ed in ultimo lo attribuisco, più che ad ogni altra cosa, alla già tante volte nominata PAURA. Questa terribilissima passione, sotto tanti e così diversi aspetti si trasfigura nel cuor dell'uomo, ch'ella vi si può per anco travestire in coraggio. Ed i moderni eserciti nostri, nei quali vengono puniti di morte quelli che fuggono dalla battaglia, ne possono fare ampia fede. Questi nostri eroi tiranneschi, che per pochi bajocchi il giorno vendono al tiranno la loro viltà, appresentati dai loro condottieri a fronte del nemico, si trovano avere alle spalle i loro proprj sergenti con le spade sguainate; e spesso anche delle artiglierie vi si trovano, affinché, atterriti da tergo, codesti vigliacchi simulino coraggio da fronte. Senza aver molto onore, potranno dunque cotali soldati anteporre una morte non certa e onorevole ad una infame e certissima.
     
     
      CAPITOLO QUARTO
     
      DELLA VILTÀ
     
      Dalla paura di tutti nasce nella tirannide la viltà dei più. Ma i vili in supremo grado necessariamente son quelli, che si avvicinano più al tiranno, cioè al fonte di ogni attiva e passiva paura. Grandissima perciò, a parer mio, passa la differenza fra la viltà e la paura. Può l'uomo onesto, per le fatali sue natìe circostanze, trovarsi costretto a temere; e temerà costui con una certa dignità; vale a dire, egli temerà tacendo, sfuggendo sempre perfino l'aspetto di quell'uno che tutti atterrisce, e fra se stesso piangendo, o con pochi a lui simili, la necessità di temere, e la impossibilità d'annullare, o di rimediare a un così indegno timore.


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Della tirannide
di Vittorio Alfieri
1800 pagine 120