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      E di questo semiamore, o sia minore odio del tiranno pel popolo, ne assegnerei la seguente ragione. La nobiltà, per quanto sia ignorante e mal educata, pure, come alquanto meno oppressa e più agiata, ella ha il tempo ed i mezzi di riflettere alquanto più che il popolo; ella si avvicina molto più al tiranno; ella ne studia e ne conosce più l'indole, i vizj, e la nullità. Si aggiunga a questa ragione, il bisogno che il tiranno ancora pur crede di aver talvolta dei nobili; e da questo tutto si verrà facilmente ad intendere quell'innato odio contr'essi, che sta nel cuor del tiranno; il quale non può né dee voler che si pensi; né può, molto meno, aggradire chiunque lo spia e conosce. Nasce da questo intrinseco odio quella pompa di popolarità, che molti dei moderni tiranni europei van facendo; come anche le tante mortificazioni, che vanno compartendo ai lor nobili. Il popolo, soddisfatto di vedere abbassati i suoi signorotti, ne sopporta più volentieri il comune oppressore, e la divisa oppressione. I nobili rodono la catena; ma troppo corrotti, effemminati e deboli sono, per romperla. Il tiranno se ne sta fra' due, distribuendo ad entrambi a vicenda, frammiste a molte battiture, alcune fallaci dolcezze; e così vie più sempre corrobora egli e perpetua la tirannide. Non distrugge egli i nobili, se non se a minuto i più antichi, per riprocrearne dei nuovi, non meno orgogliosi col popolo, ma più soggetti e arrendevoli a lui: e non li distrugge il tiranno, perché li crede (ed il sono) essenzialissima parte della tirannide.


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Della tirannide
di Vittorio Alfieri
1800 pagine 120