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      Quell'uomo privato, che potrà in se stesso riunire la indipendenza tutta del principe, (ma più nobile assai, e più legittima, col non obbedire che a moderate e savie leggi) e riunire in se la educazione del cittadino, l'ingegno, i costumi, la conoscenza degli uomini, l'amor del retto e del vero; quegli, a uguale capacità, avanzerà di gran lunga quanti altri ottimi scrittori ne siano in altre circostanze mai stati.
      In somma, io non posso nel cuore di un vero scrittore dar adito ad altro timore, che a quello di non far bene abbastanza; nè ad altro sperare, che a quello di riuscire utile altrui, e glorioso a se stesso. Ammettendo un tale principio, si esamini se il sublime scrittore nel principato potrà mai essere un ente vissuto fra i chiostri; un segretario di cardinale; un membro accademico; un signor di corte; un abate aspirante a beneficj; un padre, o figlio, o marito; un legista; un lettore di università; un estensore di fogli periodici vendibili; un militare; un finanziere; un cavalier servente: o qualunque altr'uomo in somma, che per le sue serve circostanze sia costretto a temere altro che la vergogna del male scrivere, o a desiderare altro che il pregio e la fama della eccellenza.
      Rimanendo per se stessa esclusa da quest'arte una così immensa turba di non-uomini, a pochissimi uomini mi rimane a parlare. A quelli dunque, che letterati veri ardiscono e possono farsi, dico; che senza scapito massimo dell'arte, non possono essi lasciarsi proteggere da chi che sia. Ed ella è cosa certa pur troppo, che se essi faranno interamente il severissimo loro dovere, di professar sempre e dire con energia la verità, non dureranno fatica veruna per sottrarsi da ogni protezione: tolta però sempre quella del pubblico illuminato, quando perverrà ad esserlo; protezione, la sola, che onoratamente si possa e bramare e ricevere.


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Del principe e delle lettere
di Vittorio Alfieri
Dalla Tipografia di Kehl
1795 pagine 165