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      E si osservi in questa universal decadenza, che l'autorità assoluta degli imperatori consecutivi fu anche poi distruttiva di quella stessa vuota eleganza dello scrivere, che andandosene ignuda d'ogni sublimità e verità di pensieri, e che avendo in Roma ricevuto vita e protezione da un tiranno, parea doversi sotto altri tiranni almen mantenere: manifesta prova, che noi c'inganniamo assai nel credere che il principato possa essere il vero protettore delle lettere, anche deviate dal loro diritto e legittimo scopo.
      Finisco dunque col dire; che, a parer mio, la perfezione delle lettere quanto all'eleganza (che è pur troppo sempre quella che intendiamo noi) più facilmente può nascere fra un popolo di costumi corrotti e non libero, che non fra un popolo libero e sano; benchè Atene ci provi pur sempre il contrario. Ma se così è, io credo che codesta perfezione delle lettere sia una conseguenza del principio della corruzione di quel popolo; il quale pure per alcun tempo ancora può durare corrotto e libero. Ed ecco, mi pare, spiegata la contraddizione apparente fra Atene e tutte le altre colte nazioni da essa in poi conosciute. La corruzione divenendo in appresso totale ed estrema, oltre alla già spenta libertà, ella poi corrompe e spegne in breve del tutto anche le lettere stesse, come ogni altra utile cosa. Se le lettere allora possono pure sottrarsi dalla universale rovina, pervengono anch'esse a tal segno di viltà, che snaturandosi, per così dire, si fanno elle stesse cagione di corruzione col farsi nemiche di verità: e sono esse allora, come falsificatrici delle politiche idee, la cagione veramente di altri costumi assai più guasti e ammorbati, che quelli di cui erano figlie.


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Del principe e delle lettere
di Vittorio Alfieri
Dalla Tipografia di Kehl
1795 pagine 165

   





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