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      Costui dunque, nei suddetti casi, come timido e vile ch'ei fu, non può mai drittamente pretendere ad acquistarsi vera fama fra gli uomini: ma, per altra parte, se non si è mostrato nè timido nè vile, non può certamente mai temere di essere ricompensato dal principe.
      Ed in prova che le lettere protette parlano e influiscono diversamente dalle non protette, e a voler vedere quali maggiormente giovino agli uomini, si esamini una sola formola, usata da entrambe diversa in parità di circostanze. Le lettere, sotto un principe che le protegga, e che anche le lasci alquanto sfogare, vengono riputate molto ardite, e il letterato pare un uomo di gran nervo e coraggio, allorchè si osa pronunziare in qualche libro, o predica, o altra pubblica orazione, le seguenti parole: "L'ignoranza è al fine apertamente combattuta e vinta; è giunto quel felice momento, in cui si ardisce arrecare la nuda verità ai piedi del trono &cc.". La verità ai piedi dell'errore, e dell'inganno? la verità, che sussistere non può, nè trionfare, se non distruggendogli entrambi? Si può egli concepire un'idea più falsa, una frase più adulatoria ed iniqua? All'incontro, le lettere non protette, e il veramente libero letterato, sarebbero pure costretti di dir così: "È giunto al fine, o dee farsi giungere, quel felice momento, in cui la nuda verità semplicemente manifestata ai popoli oppressi, viene da loro riposta sul trono, ove sola dev'essere, e sovra tutti indistintamente, per via delle giuste leggi, sola regnare". Questo pensiero (anche rozzissimamente espresso, se pure mai lo può essere) paragonato coll'altro, che fosse anche esposto dallo stesso Cicerone, non proverà egli ampiamente, che le lettere sono assai più perfette e più utili dove così parlano, che non dove parlano nel modo contrario?


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Del principe e delle lettere
di Vittorio Alfieri
Dalla Tipografia di Kehl
1795 pagine 165

   





Cicerone