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      Onde, a chi guarda le umane cose con occhio filosofico e sano, non ripugna affatto il confondere insieme e pareggiare i letterati e gli artisti; ma intieramente ripugna bensì il confondere o pareggiare in nulla le lettere e l'arti.
      E per sola prova della immensa differenza, che passa tra l'effetto di quelle e di queste; si esamini imparzialmente qual cosa utile e grande potrebbe sapere, operare, o pensare, quell'uomo, che non sapendo leggere, nè usando con gente colta di nessuna maniera, avesse tuttavia sortito dalla natura un gusto finissimo per le belle arti, e avesse visto ed esaminato e sentito tutti i prodigj di esse. Costui al certo nulla saprebbe; e tutti i più dotti dipinti non gli potrebbero mai aprir l'intelletto; anzi ignorandone i soggetti, non li potrebbe nè intendere, nè gustare. Ma, che vo io perdendo le parole in cosa che non abbisogna di prove? Dico bensì; che se l'artista stesso non si è fatto dotto quanto basti su i libri, ancorchè dalla natura avesse egli ottenuto il dono del più eccellente pennello o scarpello, riuscirà pur sempre un ignorante e mediocre pittore o scultore: nè da una vera, ma sterile imitazione della natura, perverrà egli mai a ricavarne quel vero e perfetto sublime a cui può giungere l'arte sua. Ogni bell'arte è figlia del molto pensare; il che vuol dir, leggere, o parlare con chi ha letto: poichè il pensare altro non è che il combinare il già detto e pensato; ed una idea che chiamiam nuova, non può essere se non figlia di cento antiche.
      Tra le lettere dunque e le arti corre, a mio parere, il divario, che corre tra lo sviluppo intero della facoltà pensatrice, e l'esercizio della potenza degli occhi e delle mani.


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Del principe e delle lettere
di Vittorio Alfieri
Dalla Tipografia di Kehl
1795 pagine 165