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      Quale scrittore di verità, qual pensatore, qual gelido cronologista per anche, si attenterebbe fra questi di mentovarvi primi Cesare ed Augusto? e di mentovarli con ben altre lodi, che gli Scipioni, i Regoli, i Fabrizi, ed i Fabj, i quali seguono col misero corredo di pochissimi versi. Non contento di ciò, Virgilio spende diciannove altri eccellenti e toccantissimi versi per far menzione d'un Marcellotto nipotino d'Augusto, morto nell'adolescenza, il quale sarebbe affatto sconosciuto, se non era la vile sublimità di quei versi. Ma, per Catone, un mezzo verso basta a Virgilio; tre soli per Giunio Bruto; nè una parola pure per Marco Bruto. Molti altri grandi vi sono appena accennati; moltissimi preteriti del tutto, e fra questi (chi 'l crederebbe?) il gran Cicerone; perchè quel sommo oratore recentemente allora caduto era vittima di quella stessa tirannica mano d'Augusto, che, sanguinosa ancora e fumante del sangue dei cittadini romani, pasceva ed avviliva il niente romano poeta. Anzi, Cicerone dalla codardia di Virgilio viene espressamente insultato con quelle infami parole: Orabunt (alii) caussas meliùs;(5) nelle quali uno scrittore latino eccellente, con vile e menzognera sfacciataggine, gratuitamente accorda la palma della eloquenza ai Greci, o a chi la vorrà; e ciò soltanto per toglierla a Cicerone. Il lettore, a tai passi, ripieno di giusta indegnazione, è sforzato a gridar fra se stesso: "Ecco il pane di Augusto; ecco l'utile, che arrecano i principi protettori alle lettere; ecco l'inganno, la viltà, e l'errore, che non mai da essi, nè dai clienti loro, scompagnare si possono".


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Del principe e delle lettere
di Vittorio Alfieri
Dalla Tipografia di Kehl
1795 pagine 165

   





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