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      Parliamo per ora delle tre specie di principi grandi di grandezza principesca soltanto; che appunto di tre sorti ce ne somministra alcuni, ed anche rari esempli, la storia. Scegliendo dunque un principe grande di ciascuna classe, e paragonandolo a un veramente grande scrittore, (e di questi non ve n'è se non d'una sola) mi affido di evidentemente dimostrare la verità.
      La esatta misura della fama meritata e acquistata, innegabilmente sta nel maggiore o minore utile che si è arrecato agli uomini con imprese difficili, ardite, laboriose, e grandi, sì per se stesse, che pe' loro effetti. I principi che noi chiamiamo grandi, erano eglino conquistatori? La loro virtù è dunque stata utile soltanto ai pochi dei loro sudditi, dannosa ai più, distruttiva pei moltissimi uomini vicini, incognita o di nessun effetto ai lontani, di debole esempio o di tristo incitamento ai loro successori, e in fine di sterile maraviglia alle susseguenti generazioni. Erano eglino legislatori? ma essi fondavano assoluti principati, e non repubbliche mai. E, fondando governi assoluti, hanno insultati ed oppressi i più; hanno innalzati, insuperbiti, e fatti o lasciati essere oppressori i pochi e malvagj: quindi la loro fama, in proporzione dell'utile arrecato agli uomini, riesce pur sempre picciolissima o nulla agli occhi dei savj; ed agli occhi della moltitudine è durata quanto l'imperio loro, o poco più. In fatti, per quanto sia stato grande Numa, credo che la fama di Giunio Bruto in Roma avanzasse di gran lunga, e giustamente, la sua; poichè Numa con tante savie leggi non avea però potuto o voluto impedire le seguenti tirannidi, che avvilita ed oppressa la tennero; e Bruto all'incontro, con una sola generosissima impresa, avea stabilito quella libertà da cui nacque la vera Roma, che fu poi per tre secoli la maggiore e la più perfetta cosa pubblica di cui si abbia esempio nel mondo.


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Del principe e delle lettere
di Vittorio Alfieri
Dalla Tipografia di Kehl
1795 pagine 165

   





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