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      L'attribuisco, oltre ciò, all'essere necessariamente arte del poeta il parlar d'ogni cosa, ma il non discuterne nè dimostrarne alcuna; all'essere la poesia per lo più molto maggiore motrice di affetti nell'animo, che di pensieri nella mente; al potere il poeta, mercè delle imagini, parlare agli occhi; mercè del numero, agli orecchi; mercè dell'eleganza, alla sottigliezza del gusto; e tutto ciò, senza che l'intelletto pensante gran parte vi prenda: lo attribuisco in fine al potere il poeta esser sommo (o almeno parerlo) senza che sommo sia ciò ch'ei dice, purchè lo sia il modo con cui lo dice. E tali erano in fatti quasi tutti i moderni poeti: e indistintamente tali sono stati, e saranno, tutti i non liberi e protetti scrittori. Credo, che tutte queste allegate ragioni fan sì, che agli occhi del principe la poesia sola trovi grazia; e che perciò ella sola possa fino a un certo segno prosperare, e prosperato abbia, nel principato: ma non però mai quella sublime poesia, che al proprio immenso diletto l'utile della filosofia, e l'impeto della oratoria aggiungendo, non può nè nascere mai, nè fiorire, se non in vera repubblica. E chi s'ardirebbe negarmi, che se alle immagini, agli affetti, armonia, eleganza, e giudizio del poeta di principe, annessa venisse la sublime robustezza, l'amor del vero, l'ardire, la fierezza, l'indipendenza, e il forte e giusto pensare del poeta di repubblica, quello solo che tutto ciò raccozzasse, sarebbe veramente il sommo poeta? il sommo, sì, quello sarebbe; poichè da quello soltanto verrebbero ad un tempo commossi tutti gli affetti, dilettati tutti i sensi, sviluppate ed accese tutte le virtù. Ma, se tale poeta vi fu mai, tali, o quasi tali, erano senza dubbio i poeti principali d'Atene.


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Del principe e delle lettere
di Vittorio Alfieri
Dalla Tipografia di Kehl
1795 pagine 165

   





Atene