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      Così, col protegger le lettere, risibilmente ed invano comanda il principe agli scrittori di farsi sublimi; perchè la mercede che da esso ritraggono, necessariamente da ogni vera sublimità di pensieri gli svia; e quindi le vere lettere invilite rimangono, o poste in silenzio. Che se elle schiettamente parlare potessero ed ardissero, elle sì, più che il principe, riprocreare saprebbero col tempo quei virtuosi costumi, che il principe comanda e non vuole, nè può voler mai, poichè da essi soli dee nascere la intera cessazione del principato.
      Il moderno principe dunque, il quale proteggendo le lettere le impedisce, fa l'arte sua, e la propria debolezza appieno conosce. Il letterato che proteggere si lascia, o egli propria forza non ha, ed è nato allora per essere letterato di principe; o l'ha, e non l'adopera, e traditor del vero, dell'arte, e di se, tanto più merita allora vitupéro, quanto era maggiore la gloria che egli acquistata sarebbesi sentendo e adoprando la sua propria forza.
      Dovendo, in somma, lo scopo delle lettere essere il diletto bensì, ma non mai scompagnato dall'utile; non vi potendo esser utile, dove non è verità; e ogni moral verità essendo per se stessa nemica d'ogni potere illegittimo; conseguenza chiarissima e semplicissima da tutto ciò ne risulta: Che le vere lettere fiorire non possono se non se all'aura di libertà. La pubblica libertà, là dove ella è già collocata e stabilita su la base di savie leggi, proteggerle dovrebbe, e il potrebbe ella sola senza farle in nulla scapitare: ma forse, un libero governo non se ne sentendo un bisogno così incalzante, quanto ne l'hanno (senza punto sentirselo) i popoli servi, disgraziatamente la pubblica libertà non protegge le lettere, o debolissimamente le protegge.


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Del principe e delle lettere
di Vittorio Alfieri
Dalla Tipografia di Kehl
1795 pagine 165