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      Venne alfin l'ora; inreticellato, piangente, ed urlante mi avviai stiracchiato dal maestro pel braccio, e spinto innanzi dal servitore per di dietro, e in tal modo traversai due o tre strade, dove non era gente nessuna; ma tosto che si entrò nelle vie abitate, che s'avvicinavano alla piazza e chiesa di San Martino, io immediatamente cessai dal piangere e dal gridare, cessai dal farmi strascinare; e camminando anzi tacito, e di buon passo, e ben rasente al prete Ivaldi, sperai di passare inosservato, nascondendomi quasi sotto il gomito del talare maestro, al di cui fianco appena la mia statura giungeva. Arrivai nella piena chiesa, guidato per mano come orbo ch'io era; che in fatti chiusi gli occhi all'ingresso, non gli apersi piú finché non fui inginocchiato al mio luogo di udir la messa; né, aprendoli poi, li alzai mai a segno di potervi distinguere nessuno. E rifattomi orbo all'uscire, tornai a casa con la morte in cuore, credendomi disonorato per sempre. Non volli in quel giorno mangiare, né parlare, né studiare, né piangere. E fu tale in somma e tanto il dolore, e la tensione d'animo, che mi ammalai per piú giorni; né mai piú si nominò pure in casa il supplizio della reticella, tanto era lo spavento che cagionò alla amorosissima madre la disperazione ch'io ne mostrai. Ed io parimenti per assai gran tempo non dissi piú bugia nessuna; e chi sa s'io non devo poi a quella benedetta reticella l'essere riuscito in appresso un degli uomini i meno bugiardi ch'io conoscessi.
      Altra storietta.


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Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso
di Vittorio Alfieri
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San Martino Ivaldi