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      E doveano essere di semplice sbigottimento quegli urli, poiché mi ricordo benissimo, che non sentii mai nessun dolore sinché non venne il chirurgo e cominciò a lavare a tastare e medicare la piaga. Questa durò alcune settimane, prima di rimarginare; e per piú giorni dovei stare al buio, perché si temeva non poco per l'occhio, stante la infiammazione e gonfiezza smisurata, che vi si era messa. Essendo poi in convalescenza, ed avendo ancora gl'impiastri e le fasciature, andai pure con molto piacere alla messa al Carmine; benché certo quell'assetto spedalesco mi sfigurasse assai piú che non quella mia reticella da notte, verde e pulita, quale appunto i zerbini d'Andalusía portano per vezzo. Ed io pure, poi viaggiando nelle Spagne la portai per civetteria ad imitazione di essi. Quella fasciatura dunque non mi facea nessuna ripugnanza a mostrarla in pubblico: o fosse, perché l'idea, di un pericolo corso mi lusingasse; o che, per un misto d'idee ancora informi nel mio capicino, io annettessi pure una qualche idea di gloria a quella ferita. E cosí bisogna pure che fosse; poiché, senza aver presenti alla mente i moti dell'animo mio in quel punto, mi ricordo bensí che ogniqualvolta s'incontrava qualcuno che domandasse al prete Ivaldi cosa fosse quel mio capo fasciato; rispondendo egli, ch'io era cascato; io subito soggiungeva del mio: facendo l'esercizio.
      Ed ecco, come nei giovanissimi petti, chi ben li studiasse, si vengono a scorgere manifestamente i semi diversi delle virtú e dei vizi.


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Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso
di Vittorio Alfieri
pagine 406

   





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