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      Io non cresceva punto di statura, e pareva un candelotto di cera sottilissimo e pallidissimo. Molti malanni successivamente mi andarono travagliando. L'uno, tra gli altri, cominciò con lo scoppiarmi in piú di venti luoghi la testa, uscendone un umore viscoso e fetente, preceduto da un tale dolor di capo, che le tempie mi si annerirono, e la pelle come incarbonita sfogliandosi piú volte in diversi tempi mi si cambiò tutta in su la fronte e le tempie. Il mio zio paterno il cavalier Pellegrino Alfieri, era stato fatto governatore della città di Cuneo, dove risiedeva almeno otto mesi dell'anno; onde non mi rimaneva in Torino altri parenti che quei della madre, la casa Tornone, ed un cugino di mio padre, mio semi-zio, chiamato il conte Benedetto Alfieri. Era questi il primo architetto del re; ed alloggiava contiguamente a quello stesso Regio teatro da lui con tanta eleganza e maestria ideato, e fatto eseguire. Io andava qualche volta a pranzo da lui, ed alcune volte a visitarlo; il che stava totalmente nell'arbitrio di quel mio Andrea, che dispoticamente mi governava, allegando sempre degli ordini e delle lettere dello zio di Cuneo.
      Era quel conte Benedetto un veramente degn'uomo, ed ottimo di visceri. Egli mi amava ed accarezzava moltissimo; era appassionatissimo dell'arte sua; semplicissimo di carattere, e digiuno quasi d'ogni altra cosa, che non spettasse le belle arti. Tra molte altre cose, io argomento quella sua passione smisurata per l'architettura, dal parlarmi spessissimo, e con entusiasmo, a me ragazzaccio ignorante d'ogni arte ch'io m'era, del divino Michelangelo Buonarroti, ch'egli non nominava mai senza o abbassare il capo, o alzarsi la berretta, con un rispetto ed una compunzione che non mi usciranno mai della mente.


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Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso
di Vittorio Alfieri
pagine 406

   





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