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      ed in somma il mio buon padre Apollo che forse per tal via straordinaria mi volea chiamare a sé; fatto si è, ch'io, benché da principio non l'amassi, né mai poi la stimassi, e neppure molto la di lei bellezza non ordinaria mi andasse a genio; con tutto ciò credendo come un mentecatto al di lei immenso amore per me, a poco a poco l'amai davvero, e mi c'ingolfai sino agli occhi. Non vi fu piú per me né divertimenti, né amici; perfino gli adorati cavalli furono da me trascurati. Dalla mattina all'otto fino alle dodici della sera eternamente seco, scontento dell'esserci, e non potendo pure non esserci; bizzarro e tormentosissimo stato, in cui vissi non ostante (o vegetai, per dir meglio) da circa il mezzo dell'anno 1773 sino a tutto il febbraio del '75; senza contar poi la coda di questa per me fatale e ad un tempo fausta cometa.
     
     
     
      CAPITOLO DECIMOQUARTOMalattia e ravvedimento.
     
      Nel lungo tempo che durò questa pratica, arrabbiando io dalla mattina alla sera, facilmente mi alterai la salute. Ed in fatti nel fine del '73 ebbi una malattia non lunga, ma fierissima, e straordinaria a segno che i maligni begl'ingegni, di cui Torino non manca, dissero argutamente ch'io l'avea inventata esclusivamente per me. Cominciò con lo dar di stomaco per ben trentasei ore continue, in cui non v'essendo piú neppur umido da rigettare, si era risoluto il vomito in un singhiozzo sforzoso, con una orribile convulsione del diaframma che neppur l'acqua in piccolissimi sorsi mi permettea d'ingoiare. I medici, temendo l'infiammazione, mi cacciarono sangue dal piede, e immediatamente cessò lo sforzo di quel vomito asciutto, ma mi si impossessò una tal convulsione universale, e subsultazione dei nervi tutti, che a scosse terribili ora andava percuotendo il capo della testiera del letto, se non me lo teneano, ora le mani e massimamente i gomiti, contro qualunque cosa vi fosse stata aderente.


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Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso
di Vittorio Alfieri
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Apollo Torino