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      E cosí pure fece l'eruditissimo conte di San Raffaele, ch'io appresi in quell'anno a conoscere, e altri coltissimi individui, i quali tutti a me superiori di età, di dottrina, e d'esperienza nell'arte mi compativano pure, ed incoraggivano; ancorché non ne avessi bisogno atteso il bollore del mio carattere. Ma la gratitudine che sovra ogni altra professo e sempre professerò a tutti i suddetti personaggi, si è per aver essi umanamente comportata la mia incomportabile petulanza d'allora; la quale, a dir anche il vero, mi andava però di giorno in giorno scemando, a misura che riacquistava lume.
      Sul finir di quell'anno '76, ebbi una grandissima e lungamente sospirata consolazione. Una mattina andato dal Tana, a cui sempre palpitante e tremante io solea portare le mie rime, appena partorite che fossero, gli portai finalmente un sonetto al quale pochissimo trovò che ridire e lo lodò anzi molto come i primi versi ch'io mi facessi meritevoli di un tal nome. Dopo le tante e continue afflizioni ed umiliazioni ch'io avea provate nel leggergli da piú d'un anno le mie sconcie rime, ch'egli da vero e generoso amico senza misericordia nessuna censurava, e diceva il perché e il suo perché mi appagava; giudichi ciascuno qual soave néttare mi giunsero all'anima quelle insolite sincere lodi. Era il sonetto una descrizione del ratto di Ganimede, fatto a imitazione dell'inimitabile del Cassiani sul ratto di Proserpina. Egli è stampato da me il primo tra le mie rime. E invaghito della lode, tosto ne feci anche due altri, tratto il soggetto dalla favola, e imitai anch'essi come il primo, a cui immediatamente anche nella stampa ho voluto poi che seguitassero.


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Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso
di Vittorio Alfieri
pagine 406

   





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