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      Chiusi subito il libro, indispettito di ritrovarmi un tal competitore fra i moderni, di cui non avea mai saputo che questa tragedia esistesse. Ne domandai allora ad alcuni, e mi dissero esser quella una delle buone tragedie di quell'autore; il che mi avea molto raffreddato nell'intenzione di dar corpo alla mia. Trovandomi io dunque poi in Siena, come dissi, ed avendo già steso l'Agamennone, senza piú nemmeno aprire quello di Seneca, per non divenir plagiario, allorché fui sul punto di dovere stender l'Oreste, mi consigliai coll'amico raccontandogli il fatto e chiedendogli in imprestito quello del Voltaire per dargli una scorsa, e quindi o fare il mio o non farlo. Il Gori, negandomi l'imprestito dell'Oreste francese, soggiunse: "Scriva il suo senza legger quello; e se ella è nato per fare tragedie, il suo sarà o peggiore o migliore od uguale a quell'altro Oreste, ma sarà almeno ben suo". E cosí feci. E quel nobile ed alto consiglio divenne d'allora in poi per me un sistema; onde, ogni qual volta mi sono accinto a trattar poi soggetti già trattati da altri moderni, non li lessi mai se non dopo avere steso e verseggiato il mio; e se li aveva visti in palco, cercai di non me ne ricordar punto; e se mal mio grado me ne ricordava, cercai di fare, dove fosse possibile, in tutto il contrario di quelli. Dal che mi è sembrato che me ne sia ridondata in totalità una faccia ed un tragico andamento, se non buono, almeno ben mio.
      Quel soggiorno di circa cinque mesi in Siena fu dunque veramente un balsamo pel mio intelletto e pel mio animo ad un tempo.


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Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso
di Vittorio Alfieri
pagine 406

   





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