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      Giunti in tal guisa felicissimamente in cima del Monsenigi, quando poi fummo allo scendere in Italia, mossa in cui sempre i cavalli si sogliono rallegrare, e affrettare il passo, e sconsideratamente anco saltellare, io mutai di posto, e sceso di cavallo mi posi in testa di tutti, a piedi, scendendo ad oncia ad oncia; e per maggiormente anche ritardare la scesa, avea posti in testa i cavalli i piú gravi e piú grossi; e gli aiutanti correano intanto su e giú per tenerli tutti insieme senza intervallo nessuno; altro che la dovuta distanza. Con tutte queste diligenze mi si sferrarono nondimeno tre piedi a diversi cavalli, ma le disposizioni eran sí esatte, che immediatamente il maniscalco li poté rimediare, e tutti giunsero sani e salvi alla Novalesa, coi piedi in ottimo essere, e nessunissimo zoppo. Queste mie chiacchiere potranno servire di norma a chi dovesse passare o quell'Alpe, o altra simile, con molti cavalli. Io, quant'a me, avendo sí felicemente diretto codesto passo, me ne teneva poco meno che Annibale per averci un poco piú verso il mezzogiorno fatto traghettare i suoi schiavi ed elefanti. Ma se a lui costò molt'aceto, a me costò del vino non poco, che tutti coloro, e guide, e maniscalchi, e palafrenieri, e aiutanti, si tracannarono.
      Col capo ripieno traboccante di queste inezie cavalline, e molto scemo di ogni utile e lodevole pensamento, arrivai in Torino in fin di maggio, dove soggiornai circa tre settimane, dopo sette e piú anni che vi avea smesso il domicilio. Ma i cavalli, che per la troppa continuità cominciavano talvolta a tediarmi, dopo sei, o otto giorni di riposo, li spedii innanzi alla volta della Toscana, dove li avrei raggiunti.


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Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso
di Vittorio Alfieri
pagine 406

   





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